“Sono sempre stato Puerto Balù” è il nuovo album folk rock di Paolo Baldoni
16 Marzo 2022
Di anni in realtà, Paolo Baldoni – cantautore della migliore e più autentica tradizione italiana – ne ha Sessanta. Eppure, ascoltando le sue ballad, rock al punto giusto ma con quelle influenze westcostiane che ci riportano a CSN&Y e al mood dei Beatles, ci pare di sentire le vibrazioni e l’energia di un ragazzino.
“Sono sempre stato Puerto Balù”, un titolo apparentemente strampalato , fuori luogo, è invece lo slogan e la dichiarazione di esistenza di un tempo e di uno spazio che, come un porto di mare, lascia navigare sogni e pensieri utopistici in un mondo che, approdato al Terzo Millennio, parrebbe non volerne sapere di romanticismo e di bellezza. Paolo Balù risponde con sette canzoni, una sintesi precisa di satelliti sonori, in un sistema geo-fantastico e cosmo-umano nelle quali si alternano racconti, storie, percorsi personali, visioni sociali.
Si apre con “Ho visto un sole”, con le chitarre graffianti di Francesco Piu, illuminandosi d’immenso rock e, senza frenare, decide di appoggiarsi un istante sulla freschezza di “Calzini” tra un violino country, un mandolino e una dodici corde che ci spostano verso il ricordo di John Denver. La sorpresa arriva e profuma di rock lento, un pop struggente che reclama l’amore perduto (Etilometri) e confessa quel senso di smarrimento che solo i grandi poeti sanno descrivere. L’album sa però anche sorridersi addosso, sa dolcemente ironizzare (Alla guerra) e assumere toni scanzonati e sa riportarci agli anni Ottanta degli America o di Al Stewart con quelle chitarre plettrate e calde che da acustiche diventano pickup roventi (Puoi nasconderti)
Una doppia conclusione, quella di Paolo “Balù” Baldoni: “Ogni giorno”, blues ultra tradizionale ma dal sapore ludico e gentile, e “Baci e bugie” che suona come un sonoro addio al passato inutile per conservare quello che, per usare una sorta di metafora baldoniana, profuma di mare buono nel porto ideale dei sognatori.
L’album, prodotto da Long Digital Playing Srls in collaborazione con LS STUDIO, è stato registrato e mixato da Vittorio Vitty Magro e Alberto Grizzi (che ha suonato anche il basso e le chitarre elettriche) con la collaborazione per gli arrangiamenti di Luca Bonaffini (chitarre acustiche e cori), Paolo Baldoni (mandolino, chitarra folk), Giuseppe Cangelosi (batteria), Giancarlo Zucchi (tastiere e Wurlitzer in “Etilometri”, “Alla guerra”, “Baci e bugie”), Francesco Piu (chitarre in “Alla guerra”, “Ogni giorno”, “Ho visto il sole”), Angapiemage Galiano Persico (violino in “Calzini”) e con la consulenza per le basi ritmiche di Alberto Pavesi e Alberto Alvin Pianori.
La copertina è stata realizzata da Maurizio Ferrandini.
Note artistiche
Paolo Baldoni, nato il 21 gennaio 1962 a Mantova, inizia fin da ragazzino a suonare la chitarra. Appassionato dei Beatles e di Bob Dylan, ben presto scopre i cantautori italiani e l’amore per la poesia e la letteratura.
Nel 1977 tra i banchi di scuola, incontra Luca Bonaffini che, avendo appena iniziato a suonare, cerca complicità negli amici più vicini. Paolo, adottandolo come creativo e vocalist, decide di fondare con lui la prima band, chiamandola ironicamente “Danger!” (pericolo). Ispirato dal fatto che Luca più che esecutore è autore, inizia a scrivere canzoni insieme a lui. Il sodalizio, confortato dalla loro amicizia, durerà fino al 1981, quando pubblicheranno la loro prima registrazione (solo su musicassetta e in pochissime copie).
Luca sceglierà di fare il cantautore di mestiere, Paolo preferirà farlo rimanere un fatto privato.
Dopo oltre trent’anni, finalmente Bonaffini lo convince a pubblicare alcune canzoni con la sua etichetta neonata. Nel 2013 Paolo esce con “Vivere e partecipare” e, senza tregua, nel 2015 pubblica “Dimenticanze”. Nel 2016 s’inventa una formula nuova, quella del laboratorio discografica e, ogni settimana per 21 settimane, pubblica un singolo. L’operazione, intitolata “Il sabato del Coraggio. Faccio ciò che voglio”, conterrà brani che Paolo riprenderà nei suoi album successivi.